Topeng: maschere dall'isola degli Dei

di Enrico Masseroli

Bali e il Topeng

L'isola di Bali, mèta tra le più frequentate del turismo esotico di massa, è anche rinomata, a partire dalla sua "scoperta culturale" avvenuta negli anni Trenta del Novecento, per le originali e ricchissime arti sceniche.

Esse sono parte integrante di una tradizione rimasta, secondo la precisa e poetica definizione di Elèmire Zolla (1), una "forma formante", il cui fecondo respiro ha ritmato nei secoli la vita artistica e spirituale nel suo volo attraverso la storia. Devozione religiosa (Agama Hindu Dharma) ed espressione estetica, sono tuttora gli assi portanti della cultura di Bali.

Nel variegato panorama del Teatro Balinese, la forma forse più diffusa e popolare fra quelle classiche è il Topeng. Possiamo definirlo, secondo un'ottica teatrale, un genere drammatico, oppure, con sguardo religioso, una liturgia spettacolare. Le sue maschere si animano secondo un codificato linguaggio scenico, guidando nella danza il corrispondente accompagnamento musicale. I canovacci delle sue storie attingono ad un repertorio letterario tradizionale, storicamente circoscritto (ca. XIV- XVII, dalla conquista giavanese - impero Majapahit - alla successiva "età dell'oro" balinese).

La parola Topeng letteralmente significa "qualcosa premuto contro (il viso)"(2). Essa indica l'opera teatrale nel suo complesso ed i suoi personaggi, ma non traduce "maschera", nel senso dell'oggetto in legno scolpito e dipinto, che in questa accezione è chiamata tapel. Esistono infatti molte altre maschere nel teatro di Bali, che non sono assimilabili, nè, di regola, possono essere mescolate a quelle del Topeng (ad esempio quelle del Wayang Wong (3) o nel dramma Calon Arang: Barong, Rangda, Djauk, Telek.).

Le origini e la sua musica
è assai problematico, in una tradizione prevalentemente orale come quella balinese, risalire a notizie storiche certe. Qualche figura scolpita tra gli alto-rilievi dei rari reperti archeologici, una performance di Topeng menzionata in un lontar (4) del 1058. Ma oltre all'uso di maschere, che cosa poteva esserci in comune col Topeng d'oggigiorno? Verosimilmente l'attuale Topeng prende la sua forma moderna nel XVIII secolo, adattandosi via via, insieme ai timbri della sua musica, al corso dei tempi. Infatti negli anni Trenta del secolo scorso, un'intensa rivoluzione stilistica pervade profondamente il teatro di Bali. Da allora il Gamelan Gong Kebyar - nato per nuove musiche e forme coreografiche, che poco hanno in comune con il Topeng - con i suoi acuti toni squillanti dal fraseggio veloce, si è andato sostituendo al più greve e cerimoniale Gamelan Gong Gedè. Nondimeno capita ancora, in qualche villaggio sperduto, di ascoltare un più arcaico Gamelan Anklung (con l'ottava divisa in solo quattro note, anzichè in cinque), adattarsi all'occasione senza apparenti difficoltà. Ci è giunta voce anche di antichi Topeng, dove solo il tamburo, i grandi gong ed i ceng-ceng (piccoli piatti) accompagnavano la danza, senza l'ausilio di strumenti melodici.

Templi perenni e antiche corti
Per certo il Topeng fu teatro di corte, attraverso il quale i sovrani celebravano la propria assimilazione con gli eroi mitici, loro antenati. Altrettanto fu, e tuttora fermamente rimane, un rituale, officiato dal sacerdote-attore, parte integrante della liturgia cerimoniale di Bali, assai ricca e variegata. La sua rappresentazione, di fatto, è prescritta in molte celebrazioni rituali: dagli anniversari (odalan) nei templi d'ogni villaggio alle festività del capodanno (galungan e kuningan), fino alle cerimonie di famiglia, ai riti di passaggio: nascite, matrimoni, limatura dei denti, cremazioni.... che scandiscono la vita terrena di ogni balinese.

Sarebbe un interessante tema per una ricerca d'antropologia teatrale cercare di ricostruire il rapporto genealogico tra rituale religioso e celebrazione cortese. I Made Djimat, il Maestro più rinomato tra gli interpreti viventi, ritiene che il Topeng sia nato nel tempio. Prima per gli Dei, poi per gli uomini.

Nelle antiche corti erano gli stessi principi-artisti a danzare e dirigere le compagnie di attori. Fino a quando il sistema della divisione in warna (colori/caste) rimase pienamente operante, la gerarchia sociale mostrata dal Topeng era ancora legge: ad un sudra (5) non era consentito di interpretare il ruolo del re, vale a dire di uno Ksatriya. E' solo dalle prime decadi del secolo scorso, durante la dominazione coloniale olandese, che la tutela e il rinnovamento delle arti trova nei villaggi, nei banjar (6) e non più solo nelle corti, il suo fulcro vitale e contestualmente la sua "democratizzazione".

Nel Topeng Bali celebra la propria storia ed i suoi eroi, dai quali discendevano le dinastie regnanti. Con uno sguardo antropologico, la sua rappresentazione legittima l'affermarsi della cultura Indo-giavanese, la integra con la pre-esistente Indo-balinese, la quale a sua volta aveva già assorbito la ritualità animista autoctona ed il culto degli antenati.

Sebbene le corti non esercitino più un reale potere, il loro modello ideale, dispiegato dal Topeng, manifesta una pregnanza simbolica che va ben al di là delle forme sociali "storiche". Le maschere introduttive rappresentano archetipi, non personaggi narrativi: il re, dalle movenze androgine, emblema di equilibrio e purezza, è un'incarnazione divina, similmente le altre figure della corte mostrano tipi astrattamente esemplari.

Il Topeng rituale e la sua scena
La funzione sacrale, nella quale un solo attore-sacerdote è il medium che si lascia danzare dai vari caratteri, è svolta dal Topeng Padjegan (lett.: mescolato). Egli interpreta via via tutti i personaggi, dopo aver consacrato le maschere e la scena con offerte e preghiere rituali. Questo ruolo di custode della memoria collettiva è forse accostabile, ma non assimilabile, a quello del dalang (lo sciamano-narratore del Wayang Kulit, il teatro d'ombre).

Il suo spazio scenico si colloca in rapporto al contesto della concomitante cerimonia: In ogni caso, sia che ci si trovi nella parte mediana di un grande tempio, sia all'interno di un modesto "compound" familiare, sarà sotto la volta di un balè (7) o sulla nuda terra, tra le stagionali pozzanghere. L'orchestra, il gamelan, suona brani introduttivi, in un andirivieni affaccendato: simultaneamente si svolgeranno i rituali dei sacerdoti, la presentazione delle offerte e sovente anche altre rappresentazioni, come il wayang lemak ( teatro d'ombre (8) senza lo schermo, perchè officiato di giorno), la lettura cantata dell'epica indù (Mahabharata e Ramayana) e quant'altro richieda la liturgia di quella particolare cerimonia in onore degli Dei.

La scena è spoglia: su di una stuoia sopra un ampio tavolato, che funge anche da camerino, l'attore dispone le maschere, che cambierà a vista, così come le corone o i copricapo ed i fiori ornamentali. Poco distante, assiso in posizione dominante, il Pedanda (l'alto sacerdote) officia il rituale per la consacrazione dell'acqua, che culminerà nella Bakti (la preghiera collettiva), in un orchestrato contrappunto. Infatti l'attore deve prestare una speciale attenzione al tintinnare della campanella del prete, per essere pronto, all'occorrenza, a dare un taglio risolutivo alla sua storia, facendo apparire l'ultimo ed il più importante dei caratteri, il Sidha Karya (9). Questi, dopo aver scherzosamente spaventato i bambini, talvolta fingendo di rapirne uno, lancia caramelle e Kepeng (10), per recare infine un'offerta nel Jeroan, la parte più interna del tempio, per placare spiriti e demoni. La sua danza irruente, la voce tonante, nobile ed autoritaria, il tremolio terrificante delle sue lunghe unghie, attraggono non solo gli spettatori curiosi ma anche gli sfaccendati spiritelli demoniaci, distogliendoli così dall'importunare il sommo sacerdote nel momento finale della sua preghiera.

Topeng profano
Fuori dal tempio lo spettacolo impone le sue esigenze. Ecco allora il Topeng Panca (cinque, in sanscrito), dove più attori (non tassativamente cinque), dopo aver concertato il canovaccio, si alternano nei ruoli, agendo in scena anche simultaneamente. La drammaturgia è dunque più elaborata e gli attori sfoggiano il loro particolare talento nelle vesti di questo o di quel personaggio. Siamo solitamente sul palco del wantilan (padiglione), davanti al Pura Desa (il tempio centrale del villaggio). La scena è riccamente addobbata per l'occasione: grandi ombrelloni bianchi e colorati ed alte, lunghe, sottili bandiere, ai lati del sipario-fondale, che l'attore agita e scuote prima di entrare in scena, in alto lungo tutto il sottotetto sono appese file di foglie finemente sagomate ed intrecciate, secondo gli stilizzati motivi tradizionali. Sedie allineate davanti al palco, warung (piccoli bar-ristorante) e venditori di bevande, frutta, dolci e sigarette, indaffarati tutt'intorno. Ci sentiamo "a teatro", in una barocca festa tropicale.

Le storie
Il repertorio del Topeng è principalmente basato sui Badad, le cronache genealogiche dei raja di Bali. I loro odierni discendenti, anche se non più regnanti, vivono tuttora in quegli stessi luoghi, teatro d'avvenimenti straordinari, dove oggigiorno transitano ignare frotte di turisti fugaci. Vi troviamo pure riferimenti a fatti e personaggi di Giava, di cui Bali divenne provincia durante il regno della grande dinastia Madjapahit nel XIV secolo, storie che fanno parte del repertorio popolare di entrambe le isole.

Lo spettacolo
Non dimentichiamo che al di là e ancor prima del soggetto letterario, il Teatro di Bali è "drama" (tardo latino, dal greco drâma, drân: fare, agire), dunque azione danzata, non racconto. In verità il "testo" principale, portante, dello spettacolo è, invariabilmente, la sua stessa struttura liturgica. Prima che i personaggi e l'intreccio comincino a delinearsi, annunciati da Penasar (il gran ciambellano, arguto e sanguigno, il vero protagonista del Topeng), nella lunga parte introduttiva pengempat (11), danzano i caratteri della corte (uno o più ministri, il vecchio consigliere ed il re). Sono figure astratte, pura espressione stilizzata della loro natura. Essa si manifesta nel colore e nelle fattezze della maschera, nelle pose e nei movimenti della danza. Ad esempio Topeng Keras (forte) è un ministro e la sua caratterizzazione: guerresca, raffinata o comica è definita dal colore della maschera (rosso, ocra, bruno), dall'espressione degli occhi e della bocca, dalla gestualità e dalla corrispondente frase musicale che lo accompagna in "ostinato".

I personaggi nobili non usano mai la parola (la loro maschera copre l'intero volto) si esprimono solo con la danza, estremamente raffinata e codificata. La loro coreografia denota variazioni stilistiche secondo le aree geografiche e le scuole. Sono i servitori a pronunciare le parole dei loro signori, in Kawi, l'antico giavanese della letteratura, tradotto poi nelle tre lingue balinesi (il loro uso è in rapporto alla casta di chi ascolta), a beneficio degli spettatori. In proposito si può dire che Penasar tracci il ponte fra la cultura Indo-giavanese e quella assimilata balinese. Il racconto è poi intercalato o addirittura destrutturato da libere digressioni, ispirate ai "fatti del giorno" o alla comunità ospitante l'evento, da commenti ameni e giochi di parole innescati dalla laboriosità delle "traduzioni".

L'aura solenne e ieratica che aveva permeato la scena nella prima parte, si dirada del tutto, allorchè compaiono i Bonderes, i popolani, comiche e grottesche caricature. Le loro improvvisazioni, simili a quelle della mitica "Commedia dell'Arte", buffe, ironiche e scurrili, ricacciano nella quotidianità. Possono essere assai numerosi, non hanno movimenti di danza definiti e stilizzati come i nobili, godono bensì di assoluta libertà espressiva e danno sfogo alla vena creativa di intagliatori ed attori. I loro lazzi hanno una funzione di puro intrattenimento e la loro presenza - vedi l'immancabile balbuziente dai dentoni sporgenti o la scimmiesca coquette che si pretende affascinante danzatrice - ha poco o nulla a che vedere con l'episodio narrato.

Assistendo ad uno spettacolo di Topeng non è sempre facile essere informati sul particolare episodio rappresentato. A volte nemmeno gli spettatori balinesi lo sanno individuare, tanto la trama è sopraffatta dalle divagazioni farsesche dei personaggi comici. Il finale, quando arriva, mostra talvolta il duello tra i principi antagonisti, oppure la vicenda si risolve con un'agnizione, un ricongiungimento amoroso, o in virtù di un evento miracoloso.

I costumi
Il costume è unico per tutti i personaggi: il corpo è avvolto da un manto bianco drappeggiato in modo da lambire il terreno; i pantaloni bianchi sono stretti ai polpacci da stewel (dal tessuto riccamente decorato); dietro le spalle è legato il Kris, la spada sacra; vi si appoggia l'ampio manto dalle sontuose decorazioni dipinte con oro; sulle spalle ampie frange colorate; sotto il mento una ricca gorgiera. Nella danza acquistano una particolare pregnanza i gesti dell'attore che afferra, mostra o sposta parti del costume.

Ogni maschera ha un corrispettivo copricapo: ricche corone di cuoio intagliato e dorato, abbellite con fiori, per i personaggi nobili; semplici drappi o fazzoletti annodati per i popolani. Raramente qualche oggetto compare sulla scena: il bastone per il personaggio del vecchio Pedanda (sacerdote), la bottiglia di plastica del buffone che fa la caricatura del turista perennemente assetato, il piccolo Kris dai magici poteri...

Contaminazioni
Assai in voga nelle ultime decadi, come intrattenimento per lo più profano, è il Prembon, un intreccio tra Topeng e Ardja (la cosiddetta "opera" balinese). La contaminazione fra i due generi segue l'evoluzione e le mode del gusto popolare. Accanto alle maschere troviamo dunque le cantanti-danzatrici, dal volto sapientemente truccato, che esibiscono i loro acuti gorgheggi in un'atmosfera dove il dramma si stempera presto nella farsa.

Infine anche gli spettacoli miscellanei per turisti reclamano talvolta il loro assaggino di Topeng: capita così di vedere la danza di un suo personaggio infilata in un programma di Tari lepas (12).

L'artista/artigiano
Le maschere, appositamente scolpite per la danza ed assai diverse, nonostante l'apparenza, dalle dozzinali imitazioni vendute nei negozi turistici, richiedono una lavorazione molto accurata. Basti considerare che i colori tradizionali, preparati esclusivamente con sostanze e pigmenti naturali, saranno stesi fino a 40 volte, per poter raggiungere la particolare lucentezza e resistenza. I migliori intagliatori conoscono essi stessi i movimenti dei loro personaggi e non accetteranno un'ordinazione, se non avranno a disposizione tutto il tempo necessario.

Le maschere per le cerimonie religiose devono essere purificate prima dell'uso, per togliere tutte le impurità accumulatesi durante la fabbricazione. Grazie alle offerte, la maschera diviene tenget, carica di energia divina e può sposare l'energia creatrice, taksu, che pervade l'attore. In occidente lo chiameremmo "stato di grazia".

In verità è dal momento in cui il pezzo di legno pregiato (dal tenero e forte albero pule) viene tagliato - in un giorno propizio, stabilito dal sacerdote che conosce i complicati intrecci dei numerosi calendari di Bali - e consacrato con l'apposita cerimonia, che la maschera del Topeng inizia a vivere, per divenire immagine e forma di un archetipo.

"Se un Occidentale indossa una maschera, pretende di essere un altro. Quando un attore balinese indossa una maschera, diviene un altro" (13).



Note

1
Conoscenza Religiosa 2/1978 fascicolo speciale dedicato a Bali. Riportato in E. Zolla, Conoscenza religiosa. Scritti 1969-1983, a c. di G. Marchianò, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 2006.

2
Vedi W. Spies - B. De Zoete, "Dance and Drama in Bali". London 1938, reprint Oxford University Press, Malaysia 1973

3
Wayang Wong (lett. "Figure umane") è un dramma danzato che racconta episodi del Ramayana.

4
Libri Sacri scritti su foglie di palma.

5
Sudra: coloro che, per nascita, sono al di fuori dei Triwangsa (Ksatriya, Brahmana, Wesya), le tre caste nobili; sono/erano per la maggior parte contadini e rappresentano ca. l'80% della popolazione. La parola casta di origine portoghese ha la connotazione di "divisione", anzichè quella di "ordinamento", suggerito invece dal termine sanscrito Warna, che letteralmente significa colore.

6
Banjar: ogni cittadina o villaggio è suddiviso in "consigli di quartiere", organizzazioni sociali che raggruppano un certo numero di famiglie e ne regolano e organizzano le attività.

7
Balè : padiglione o stanza costituito da una piattaforma rialzata, coperta da un tetto sorretto da pilastri. Non ha pareti o ne ha una sola

8
normalmente conosciuto come Wayang Kulit, Teatro d'ombre

9
Letteralmente "colui che sa fare il lavoro", cioè sa portare a termine l'opera, la cerimonia

10
Antiche monete cinesi forate al centro

11
empat quattro, perchè sono generalmente 4, ma viene anche chiamata penglambar introduzione o penamprat l'inizio

12
Danze varie, prevalentemente di stile Legong e Kebyar

13
cit. da F. Eiseman "Bali: Sekala & Niskala" Periplus Editions, Singapore 1990



    The Pirate Ship

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