Perchè a Bali?

di Enrico Masseroli

La strada per l'oriente parte dall'est europeo


La mia carriera professionale era iniziata col TTB, il Teatro Tascabile di Bergamo, nel 1973, mentre ero ancora studente di lettere moderne all'Università Statale di Milano.

Il giovane gruppo si era presto imposto come una delle realtà più vitali del teatro di ricerca in Italia ed i nostri spettacoli invitati anche all'estero. Accadde così che il mio primo contatto con Bali - siamo nel 1976 - avvenne a Belgrado. La capitale dell'allora grande Yugoslavia ospitava il rinomato festival teatrale internazionale BITEF, all'interno del quale, grazie al patrocinio dell'UNESCO, si svolse un incontro di giovani gruppi da tutto il mondo, diretto da Eugenio Barba.

L'ISTA, la scuola internazionale di antropologia teatrale che avrebbe fondato di lì a qualche anno, iniziava le sue prove generali. Jerzy Grotowski, anche lui presente, assisteva defilato. A condurre i workshop c'era anche un balinese, Tapa Sudana, in seguito interprete di memorabili spettacoli con Peter Brook. Ricordo il divertimento generale nel fragoroso "Kecak" da lui orchestrato, e la sua dimostrazione con le maschere del topeng, repentinamente interrotta: l'attore aveva appena iniziato, tradendo un certo impaccio, quando di colpo si fermò (qualcosa non andava, temeva forse di commettere un qualche sacrilegio?) e chiedendo timidamente scusa, ripose le sue maschere. Mi colpì di Tapa anche il curioso vezzo di spalmare le sigarette di balsamo tigre, quell'unguento aromatico che si usa per i massaggi. Anni dopo capii che era un modo per ricordare il gusto delle sigarette "kretek" indonesiane, dolci ed aromatiche.

Nel settembre dell'anno successivo Il Teatro Tascabile organizzò a Bergamo un Atelier internazionale del teatro di gruppo, divenuto un evento storico per la nostra generazione, in piena "rivoluzione" teatrale. Diretto da Eugenio Barba, riunì gruppi europei ed americani e vide la partecipazione straordinaria di prestigiosi Maestri dall'India, dal Giappone e da Bali (I Made Bandem con la sua famiglia). Il confronto oriente/occidente s'imponeva come un passaggio obbligato per la ricerca teatrale. In quell'occasione però, essendo dedito all'organizzazione e impegnato la notte in un lavoro "parallelo" con Grotowski, mi persi, tra altri eventi, proprio la dimostrazione dei balinesi.

Lo "storico" Atelier lasciò germogli assai vivi. Il mio gruppo, il TTB, prosegue gli approcci, sempre più approfonditi, con il teatro classico indiano, in particolare il Kathakali. L'anno seguente, nel luglio del 1978, siamo a Santarcangelo di Romagna, partecipando al festival che allora rappresentava una sorta di "Woodstock" del nuovo teatro. Là finalmente vedo la danza balinese presentata - con musica registrata - da colui che diventerà il mio maestro, I Made Djimat.

L'impressione è enorme, si resta ipnotizzati dal vibrare di un'energia ininterrotta e ritmata da scatti improvvisi. Rimango solo un po' deluso alla fine, quando quell'essere magico, rivestito con un dio, sgranando un accattivante sorriso, scambia col pubblico qualche goffa frase ammiccante. Impregnato dalla seriosa intransigenza dei neofiti, quella gigionata naif mi parve allora inopportuna e sacrilega!

Quell'anno, al termine di un'intensa e stressante stagione estiva, il TTB, grazie alla determinata intuizione del suo direttore, Renzo Vescovi, prende una decisione temeraria: si parte! La motivazione teorica recitava così: "come gli orientali studiano le nostre arti e nessuno si meraviglia se li ritroviamo interpreti della lirica o del balletto, perché a noi non dovrebbe essere possibile l'inverso?" Ecco perché noi europei andammoi sul campo, a studiare professionale le arti sceniche orientali.
Le problematiche legate a questa scelta sono naturalmente complesse. Al di là di preclusioni eurocentriche o superficiali entusiasmi, toccano non soltanto l'apprendimento tecnico delle forme sceniche, ma il capire che cosa sia una tradizione, la sua estetica e la sua metafisica.

Pensavo di andare in India, come i miei colleghi. A spostare molto più ad oriente la mia meta fu Jerzy Grotowski.

Prima della partenza, a cavallo tra novembre e dicembre, trascorsi un paio di settimane con il grande maestro polacco in una ex fattoria, sperduta nella campagna polacca, immersa nell'oscurità e presto coperta di neve. Si sperimentava intorno a pratiche che in seguito avrebbero dato vita al progetto "The theatre of sources" (il teatro delle sorgenti). Sapendo che era stato in India, chiesi al Maestro suggerimenti su scuole e maestri, mi rispose all'incirca così: "Il teatro indiano, nella sua pur vasta complessità, è assai ben definito, con geometrica precisione. Lo puoi comprendere con lo studio e non ti manca la volontà! Ma ciò di cui tu hai più bisogno lo puoi trovare a Bali. Lì la tradizione è orale, difficile da carpire, per entrarci dovrai metterti in gioco, tirer fuori la tua creatività." Chiaro? Non so fino a che punto lo fosse, comunque la rotta era tracciata.

Già, ma dov'era l'isola di Bali? A ripensarci pare incredibile: sull'atlante dell'agenzia viaggi la cercai sotto l'India, immaginandola là, più o meno a sud/est di Sri Lanka. Scoprivo solo allora che era in Indonesia. Assai più lontano! Partii il 28 dicembre 1978.



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